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Comune di Milano, diritti civili rimandati

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- Giovedì 18 ottobre doveva essere un giorno importante per chi crede in una politica di gesti concreti, simbolici nel senso più profondo del termine: gesti in grado di rappresentare significati plurali e al cuore dei principii che muovono l’azione pubblica. E’ peraltro raro che un consiglio comunale, sia pure di primo piano come quello della seconda città d’Italia, arrivi a occuparsi di temi di rilevanza generale. Doveva succedere, in teoria, lo scorso 18 ottobre: un pomeriggio dedicato alla discussione di alcune mozioni che il tempo aveva sempre rimandato.

Doveva. Poi, però, prima di terminare le mozioni, il vicecapogruppo del Pd ha chiesto la chiusura della seduta perché stava per iniziare la direzione regionale del suo partito. Per permettere, quindi, ai consiglieri facenti parte della suddetta direzione regionale di parteciparvi. Fuori dalla sede consiliare, una ventina di Radicali (tra cui il senatore Perduca) aspettava una buona notizia: la sospensione del gemellaggio tra Milano e San Pietroburgo dopo che la città russa ha approvato (ormai molti mesi orsono) una sconsiderata legge che vieta la pubblica manifestazione di omosessualità. La buona notizia sembra solo rimandata di qualche giorno, ma intanto non è arrivata. E avete letto bene: venti persone, più o meno.

Sembra un’altra epoca. Ma era solo luglio quando, dopo aver fatto notte fonda in quella che probabilmente è stata la più intellettualmente intensa seduta di consiglio comunale dell’era Pisapia, il sindaco arancione proclamava: “Da oggi Milano ha ridotto lo spread col resto d’Europa sui diritti civili. Era appena stato approvato il registro delle unioni civili. Per la cronaca, a San Pietroburgo la legge omofobica era già in vigore.

Quando si compiono atti simbolici occorre stare molto attenti. Si può ferire ma anche essere feriti. Dov’era il popolo arancione il 18 ottobre? Ridotto a venti Radicali? Il confronto col resto d’Europa è importante solo a metà? Si vuole dar coerenza alle dichiarazioni retoriche e attivarsi sempre (sulle unioni civili – dopo vari ritardi – l’amministrazione di Pisapia aveva a un certo punto deciso di fare molto in fretta), non solo quando la pressione inizia a farsi più forte? E infine, posto che qualche giorno ulteriore di ritardo è concretamente accettabile senz’alcun dubbio, è anche simbolicamente accettabile? A fronte di una legge che vieta la manifestazione pubblica di omosessualità in quel “resto d’Europa”, di cui San Pietroburgo è parte integrante, Milano intende protestare? O rinuncia a farlo? O, peggio, lo farà ma più in sordina possibile?

Naturalmente la risposta pubblica che il Partito democratico milanese darebbe è che si tratta di qualche giorno di ritardo; e che l’imminente caduta di Formigoni impone di pensare prioritariamente a questo. Bene: si sappia allora che i membri della direzione regionale lombarda del Pd sono 208. Tre di questi sono consiglieri comunali di Milano: Carmela Rozza, Marilisa D’Amico e Gabriele Ghezzi. I consiglieri comunali del Pd a Milano sono 20, a cui si aggiungono 9 consiglieri di maggioranza di altri partiti e il sindaco. Quindi, su 30 membri di maggioranza del consiglio comunale, solo tre dovevano andare via. O, se si preferisce, su 208 membri della direzione regionale, tre rischiavano di non potervi partecipare per la concomitanza del consiglio comunale.
Non pare che sia stata una scusa?


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